Perché lo stock picking NON è per tutti
Nel mondo degli investimenti, poche attività riescono a esercitare lo stesso fascino dello stock picking, ovvero la selezione diretta di singole azioni da parte dell’investitore.
L’idea di scegliere i titoli giusti, battere il mercato e ottenere rendimenti superiori è irresistibile per molti.
Io stesso faccio stock picking (lo puoi vedere nel mio portafoglio), perché mi appassiona analizzare aziende, studiare i loro bilanci e cercare di capire dove si nascondono le migliori opportunità.
Tuttavia, con il tempo ho capito che non è un approccio adatto a tutti.
In questo articolo voglio spiegarti il perché, e aiutarti a capire se davvero vale la pena cimentarti in questa attività o se sia meglio optare per una strategia più semplice e sostenibile.
IL FASCINO (INGANNEVOLE) DELLO STOCK PICKING
Chi non ha mai sognato di scoprire il prossimo “Amazon” o “Tesla” prima che esploda?
Lo stock picking è alimentato da storie di successo di investitori che hanno trasformato piccole somme in fortune, Warren Buffett, Peter Lynch, Walter Schloss sono solo alcuni degli esempi che si possono fare.
Questi casi però sono l’eccezione, non la regola.
Dietro ogni vincitore c’è una lunga lista di investitori che hanno perso soldi o semplicemente non sono riusciti a battere il mercato.
Guardando ai fondi attivi azionari, meno di uno su tre batte gli ETF.
La psicologia gioca un ruolo fondamentale: l’idea di poter controllare le proprie scelte, di dimostrarsi più intelligenti della media, e di raggiungere l’indipendenza finanziaria grazie al proprio intuito, è estremamente seducente.
Eppure, numerosi studi mostrano che la maggior parte degli investitori retail tende a sovrastimare le proprie capacità di previsione e a reagire in modo irrazionale alle fluttuazioni del mercato.
SEMBRA SEMPLICE, MA NON LO E’
Molti credono che basti scegliere “buone aziende” per ottenere buoni risultati, ma il mercato è tutt’altro che semplice.
Dietro l’apparente logica del “compra basso e vendi alto” si nasconde una complessità fatta di analisi, cicli economici, bilanci, concorrenza, geopolitica e, soprattutto, comportamento umano.
Per esempio, anche identificare un’azienda con ottimi fondamentali non garantisce guadagni nel breve periodo.
Il prezzo di un’azione è influenzato da aspettative, notizie, speculazioni e fattori macroeconomici che nessuno può controllare.
Come diceva Benjamin Graham, mentore di Warren Buffett, “nel breve periodo il mercato è una macchina per votare, nel lungo periodo diventa una bilancia”.
Parafrasando nel breve periodo il mercato misura di più la popolarità mentre nel lungo periodo pesa il valore reale.
Ma per molti investitori il lungo periodo è… troppo lungo.
Negli ultimi decenni è evidente come, anche grazie alla crescente facilità di acquistare e vendere azioni, il tempo medio di detenzione dei titoli sia diminuito drasticamente.

IL PROBLEMA DELLA DISCIPLINA E DELLE EMOZIONI
Il vero nemico dell’investitore non è il mercato, ma sé stesso.
Durante i momenti di euforia, si tende a comprare troppo; durante le crisi, a vendere nel panico.
Questa ciclicità emotiva porta a risultati inferiori rispetto ai semplici fondi indicizzati che si limitano a replicare l’andamento del mercato.
Come già scritto nel paragrafo precedente secondo diverse ricerche, la maggior parte dei gestori professionisti non riesce a battere il proprio benchmark sul lungo periodo.
Se perfino gli esperti con anni di esperienza, risorse e team di analisti faticano a sovraperformare, quanto è realistico pensare che un piccolo investitore possa farlo dal salotto di casa?
ETF: LA SEMPLICITA’ CHE VINCE NEL TEMPO
Se lo stock picking è un’arte per pochi, la maggior parte degli investitori può ottenere risultati eccellenti con un approccio più semplice e sistematico: investire in ETF (Exchange Traded Funds).
Questi strumenti consentono di diversificare automaticamente il portafoglio, riducendo il rischio specifico legato a singole aziende.
Un fondo ben gestito o un ETF che replica un indice come l’MSCI World permette di partecipare alla crescita globale senza dover “indovinare” quale azione salirà.
Inoltre, i fondi passivi hanno costi di gestione molto più bassi rispetto ai fondi attivi e, nel lungo periodo, questo si traduce in rendimenti migliori.
Come recita una massima della finanza comportamentale: “Una strategia mediocre che riesci a seguire è meglio di una perfetta che abbandoni a metà strada”.
LA STRATEGIA CHE FUNZIONA: SEMPLICITA’ E COERENZA
Una buona strategia di investimento è quella che funziona nella maggior parte degli scenari e che puoi mantenere anche nei momenti di stress.
Lo stock picking richiede competenze tecniche disciplina e nervi saldi, oltre a essere un’attività time consuming.
Gli ETF, invece, offrono una soluzione automatica, diversificata e coerente, che libera l’investitore dalla tentazione di “fare market timing”.
Molti intermediari tra l’altro danno tra le loro offerte la possibilità di attivare piani di accumulo gratuiti su determinati ETF, un altro bel vantaggio per ridurre i costi.
Per esempio, un portafoglio bilanciato composto da:
-
40% in ETF azionari globali (es. SPDR MSCI All Country World UCITS ETF – ISIN IE00B44Z5B48);
-
40% in obbligazioni e/o ETF obbligazionari;
- 10% in oro (es. Invesco Physical Gold A – ISIN IE00B579F325);
-
10% in liquidità o strumenti alternativi.
è già una base solida per molti investitori, offrendo un equilibrio tra rischio e rendimento senza necessità di competenze avanzate.
L’ILLUSIONE DEL CONTROLLO E IL COSTO DEL TEMPO
Molti si avvicinano al stock picking convinti che basti “seguire le notizie” o leggere qualche forum per fare scelte intelligenti.
In realtà, l’informazione pubblica è già scontata nei prezzi, e la competizione sui mercati è spietata: per ogni compratore convinto di fare un affare, c’è un venditore altrettanto convinto del contrario.
Inoltre, il tempo speso ad analizzare grafici, notizie e bilanci potrebbe essere investito in attività più produttive o gratificanti, non tutti infatti sono adatti a rimanere incollati allo schermo di un pc per ore e ore a seguire i mercati.
Come dimostrano i dati, un approccio automatizzato e regolare (il già citato PAC, piano di accumulo, su ETF) porta spesso a risultati superiori rispetto ai tentativi di “battere il mercato”.
STOCK PICKING: QUANDO PUO’ AVERE SENSO
Questo non significa che lo stock picking sia sempre da evitare.
Per investitori esperti, con un forte background finanziario e una tolleranza al rischio elevata, può essere un modo per aggiungere un po’ di “pepe” al portafoglio.
Una buona regola pratica è dedicare non più del 10-15% del proprio capitale a singole azioni o scommesse personali, mantenendo il resto in strumenti diversificati.
In questo modo, anche se le scelte individuali non daranno i risultati sperati, l’impatto complessivo sul patrimonio sarà limitato.
CONCLUSIONE
Insomma, spero di averti spiegato perché la realtà è molto diversa rispetto a quella che molti raccontano: lo stock picking non è per tutti, e per la maggior parte degli investitori rappresenta più un rischio che un’opportunità.
Investire non significa indovinare, ma costruire.
L’obiettivo non è battere il mercato ogni anno, ma raggiungere i propri obiettivi finanziari con serenità e continuità, seguendo la propria pianificazione finanziaria o quella disegnata con il proprio consulente finanziario autonomo.
Per la maggior parte degli investitori, la strada più efficace non è quella più spettacolare, ma quella più noiosa: ETF, disciplina e pazienza.
Come diceva John Bogle, fondatore di Vanguard e padre dei fondi indicizzati:
“Non cercare l’ago nel pagliaio. Compra tutto il pagliaio.”
Lo stock picking potrà anche sembrare più affascinante, ma la vera bravura, nel lungo periodo, sta nel non complicarsi la vita e nel lasciare che il tempo e la diversificazione facciano il loro lavoro.
________________________________________________________________________
Se ti piacciono i miei contenuti e vuoi restare aggiornato, iscriviti alla mia newsletter mensile! E per contenuti extra e interazioni veloci, seguimi su X.com: @davyderosa
