Il rimedio è la povertà

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Ho scelto apposta il titolo di questo articolo con intento provocatorio e con lo scopo di far discutere, l’ispirazione l’ho avuta dal libro Dobbiamo disobbedire di Goffredo Parise che ho finito di leggere pochi giorni fa.

Era una raccolta di risposte che lo scrittore e giornalista vicentino dava ai lettori che gli scrivevano nella rubrica “Parise risponde” tenuta sul Corriere della Sera nei primi anni ’70.

Il rimedio è la povertà è proprio il titolo di uno di questi articoli scritto in risposta a un lettore.

Non riesco a ricordare dove ho avuto il suggerimento di questo libro, forse l’ho sentito citare da Leo del canale Story Hunters, un canale interessante che si occupa del cambiamento e del cambio vita in generale, che va a intervistare italiani all’estero che hanno deciso, appunto, di cambiare vita.

Come amante della storia sono sempre interessato a scoprire questi libri che permettono raffronti storici, permettono di capire come pensavano le persone al tempo in cui l’autore scriveva e, quindi, fanno pensare su come si sono evolute le cose (o NON si sono evolute…).

Parise era uno scrittore spinto da un’enorme curiosità umana (come gli piaceva definirla lui), che amava profondamente il proprio paese e che, per essere capito da tutti, cercava di usare più possibile un linguaggio chiaro, cristallino e democratico:

“Teoricamente ogni persona che sappia leggere deve capire quello che scrivo.”

PERCHÉ “IL RIMEDIO È LA POVERTÀ”

L’Italia di allora (anni 70) era un paese trasformato profondamente dalla ricostruzione post guerra mondiale e dal conseguente boom economico.

Dalle parole di Parise si può capire come fosse un paese che aveva subito un enorme cambiamento, da una cultura rurale che si stava dimenticando a una cultura consumistica.

Consumismo degli oggetti e delle ideologie, per lo scrittore vicentino il solo modo per non soccombere fisicamente e intellettualmente è un’estrema selettività.

Ai suoi interlocutori suggeriva il rimedio della povertà, ma non povertà nel senso di miseria, ma spiegato in questo modo:

“Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita”, povertà ancora è “conoscere le cose per necessità“.

E’ un concetto che mi fa ricordare anche ciò che ha detto il grande prof. Coletti nell’intervista con Pietro Michelangeli (al min. 49) parlando di frugalità e di come lui si comporta con le spese:

Coletti risponde che si basa sul principio insegnato dai suoi genitori: fare tutte le spese che sono necessarie o sagge.

Credo sia un concetto interessante per tutti quelli interessati nel trovare un equilibrio nella propria gestione familiare, spendere i soldi se rientrano nelle due categorie predette evitando spese inutili (sempre che non si tratti di costi irrisori).

Per fare un esempio, se sei uno che fa tanti km in auto, non solo per lavoro, ma anche perchè magari ti piace girare molto, allora una spesa saggia è quella di acquistare un veicolo che ti faccia stare bene e che abbia tutti gli standard di sicurezza.

Anche se l’acquisto dell’auto è uno dei peggiori che tu possa fare, in questo caso, non ha senso risparmiare troppo se è una cosa che usi tanto e diventa, appunto una spesa saggia.

Se invece l’auto la usi per fare 10.000 km all’anno mi capisci che, probabilmente, non è saggio spenderci troppo per poi tenerla in garage.

Si tratta di due concetti, quello della “povertà” e quello del prof. Coletti, che vanno a braccetto trovando le loro radici nella concretezza di una storia economica e sociale che ha plasmato le prospettive di coloro che hanno vissuto una realtà italiana fatta di risorse scarse e in cui bisognava essere oculati su quello che si faceva con i propri denari.

Invece Parise sottolineava come:

“Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita…”

La povertà, nel senso dato da Parise, diventava una forma di disobbedienza alla vita insensata che l’uomo moderno sembrava rincorrere a tutti i costi.

Una corsa che, tuttavia, genera infelicità per molti, imprigionati in un vortice senza fine che il sistema sembra continuare ad alimentare incessantemente.

Come direbbe il compianto Charlie Munger, abbassare un po’ le aspettative non guasterebbe:

“The first rule of a happy life is low expectations. If you have unrealistic expectations you’re going to be miserable your whole life. You want to have reasonable expectations and take life’s results good and bad as they happen with a certain amount of stoicism.”

Traduzione: La prima regola di una vita felice è avere basse aspettative. Se hai aspettative irrealistiche, sarai infelice per tutta la vita. Devi avere aspettative ragionevoli e accettare i risultati della vita, sia positivi che negativi, affrontandoli con una certa dose di stoicismo.

Altri passaggi interessanti dal libro di Parise che mi piacerebbe condividere con te sono i seguenti.

  • Una riflessione, un po’ polemica sulle lettere che gli arrivavano: “Se il mio candore è grande, non sono così candido da non vedere chiaramente in queste lettere un perfetto esempio di lotta di classe. Ma lo sono, purtroppo, soltanto in superficie, e si potrebbero riassumere in una frase: i ricchi ce l’hanno con i poveri, i poveri con i ricchi. […] C’è mi tocca dirlo ancora una volta, l’invidia di classe.”
  • Sulla democrazia: “l’enorme difficoltà di molti italiani a concepire non soltanto l’idea dello stato ma soprattutto l’idea della democrazia. […] la democrazia è un lavoro continuo giornaliero ed orario. Che la democrazia è, per così dire, l’espressione più alta della personalità di ognuno di noi, cioè di ogni cittadino, non in difesa soltanto dei propri interessi personali ma in difesa dell’idea di uno Stato italiano, il nostro, che è in realtà la difesa dello Stato.
  • Sulla vita: “nelle sue infinite forme di espressione è imprevedibile, irrazionale, illogica e per nulla scientifica; l’uomo che la abita è un animale sommamente difettibile.”

CONCLUSIONI

Dobbiamo disobbedire è un libro che ci riporta ad alcuni episodi dell’attualità italiana degli anni 70 che io non ho avuto modo di vivere direttamente ma che magari qualcuno di voi si ricorda più direttamente.

Il messaggio che Parise intendeva trasmettere, credo, era l’invito a vivere una vita caratterizzata dalla semplicità: parole semplici, uno stile di vita essenziale, attenzione ai particolari e ai dettagli, consapevolezza di ciò che accade nell’attimo stesso in cui stai vivendo.

Un messaggio che, oggi più che mai, si rivela attuale, ma che allo stesso tempo sottolinea come molte cose rimangano immutate, cambiando solo il contesto circostante.

Le dinamiche descritte da Parise non solo non si sono fermate, ma anzi, dal mio punto di vista, si sono aggravate dopo oltre 50 anni dai suoi scritti.

Come direbbe lui stesso non possiamo andare contro “la forza delle cose“.

Chissà invece cosa scriverebbe oggi se fosse ancora tra noi!

Un libro di 75 pagine che si legge velocemente in un pomeriggio e che, come piace a me fa pensare sul nostro passato, sul momento attuale ma anche sulla dinamiche future.

Per chi non ha letto Goffredo Parise credo che questo sia un buon inizio per poi, se apprezzato, potersi espandere in altre opere dello scrittore, la più conosciuta delle quali sono i Sillabari.

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Titolo: Dobbiamo disobbedire
Autore: Goffredo Parise
Editore: Adelphi
ISBN: 978-8845928314
Pagine: 75
Formato: Copertina morbida
Anno edizione: 2013
Prezzo intero: € 8,00

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